Efrem Sabatti - Psicologo a Brescia

Psicologia clinica strategica - Modello di Giorgio Nardone


Psicologia clinica strategica - Modello di Giorgio Nardone

Possiamo definire l’approccio strategico secondo il modello di Nardone come l’ “arte di risolvere problemi complicati attraverso soluzioni apparentemente semplici”.



Apparentemente semplici perché una volta individuata la soluzione essa si presenta “semplice”, anche se, per attuarla, è necessario uscire dallo schema. La terapia breve strategica ha origini antiche, che affondano nell’arte della retorica, nella metis, nell’arte degli stratagemmi (sun Tzu e arte della guerra) e, più di recente, nella scuola di Palo Alto. Altri contributi alla teoria provengono dagli studi sul paradosso, dalla cibernetica (concetto di azione e retroazione), dalle teorie sistemiche, dall’ipnosi ericksoniana e dal costruttivismo sistemico che sostiene che esistano tante realtà quante sono le persone che le percepiscono. Da questi sviluppi nasce la terapia breve strategica, che struttura protocolli di intervento per patologie specifiche. Ogni singolo protocollo è in linea con la visione di un modello autocorrettivo, poiché il protocollo spiega cosa andare a vedere, ma il modello stesso permette di correggere la mira. Il modello, anziché sulle peculiarità della persona, che porta ad indagare il suo passato e la sua privacy alla ricerca di possibili cause responsabili del problema, si concentra sull’individuazione dei meccanismi (spesso costanti) che la persona mette in atto nel tentativo di affrontare il problema, ma che spesso, finiscono invece per continuare a mantenerlo. Per fare un esempio, citando il molto diffuso “attacco di panico”, non si indaga sul contenuto del problema, che rischierebbe di aprire una incalcolabile mole di dettagli, ma sul processo che la persona mette in atto nel tentativo di fronteggiare il problema. Quindi non è importante ai fini della risoluzione del problema indagare se l’attacco di panico viene scatenato dalla vista di un piccione o di un ragno, dalla presenza di spazi chiusi o aperti, ne tantomeno si cerca di scavare alla ricerca di possibili significati sul perché proprio la paura del piccione, cosa rappresenta, ecc…  Si indaga sui processi che vengono agiti. In quasi la totalità dei casi, infatti, il panicante mette in atto di solito strategie standard, che hanno la funzione apparente di gestire il problema, ma che in realtà tendono a mantenerlo. Ad esempio l’ “evitamento” dello stimolo spaventoso (poco importa se sia una strada, un animale, un luogo) che calma al momento, ma continua a mantenere la paura di tale stimolo; la “richiesta di aiuto” (quando lo stimolo non può essere evitato), che conferma al soggetto la sua debolezza ed incapacità ad affrontarlo da solo, scoraggiandolo, ecc… L’approccio orientato alle azioni, spesso abbastanza caratteristiche di ogni disturbo, permette di ottimizzare i risultati e fare delle migliori previsioni sull’evoluzione del trattamento, velocizzare il percorso (solitamente i percorsi sono inferiori alle 20 sedute, con una media di 7 – 10 sedute). Naturalmente dipende dalla tipologia del disturbo (un percorso sull’attacco di panico ha una durata statisticamente inferiore ad un disturbo alimentare), dalla individualità della persona e dalla sua collaborazione all’interno del percorso (sono spesso infatti previsti degli esercizi da svolgere al di fuori della seduta e che sono parte integrante del lavoro).

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